La vera storia del sushi

Il sushi non ha origine in Giappone
Mangiare sushi in Italia è ormai considerata la normalità tra ragazzi, adulti e persino bambini, a differenza di una decina di anni fa in cui queste prelibatezze esotiche erano reperibili solo nelle grandi città. Pochi però sanno che questo celebre capolavoro della cucina nipponica contemporanea non è originario del Giappone. Infatti, il primo popolo che tentò l’abbinamento pesce-riso furono i cinesi. A partire dal II secolo, in Cina il pesce veniva accuratamente conservato alternandolo a strati di riso fermentato, in modo che l’amido ne impedisse la decomposizione. In questo modo il pesce poteva essere consumato mesi dopo la pesca, mentre il riso veniva eliminato. I pesci venivano puliti, salati e avvolti da riso cotto, la cui fermentazione provocava un aumento dell’acidità: da qui la parola sushi, che significa proprio aspro. L’importazione in Giappone risale al VIII secolo per opera dei monaci buddisti. Da quel momento i giapponesi aggiunsero aceto di riso per accelerare la fermentazione, ma il pesce veniva marinato o cotto. Nella prima metà dell’800, arrivò a Tokyo il sushi come lo conosciamo noi oggi, ovvero pesce crudo avvolto da riso cotto, venduto persino per strada a poco prezzo. Accanto alle bancarelle veniva appesa una tenda bianca per pulirsi le mani: gli avventori cercavano la bancarella con la tenda più sporca (ovvero la più frequentata) per individuare la migliore.
Il piatto più prelibato della cucina nipponica resta l’intramontabile fugu o pesce palla. Questa particolare specialità, se non viene preparata correttamente, può essere mortale, in quanto contiene un potente veleno: la tetradotossina. Tra il 1993 e il 2006 sono stati registrati ben 23 decessi, anche se in passato la stima era pari a circa 500 morti ogni due anni. Solo chef con una speciale licenza possono prepararlo, eliminando con maestria le interiora che contengono il veleno. In Europa è vietato in quasi tutti i paesi.
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